Badesha

Villa Badessa (Badesha) venne fondata nel 1743 e rappresenta l’ultimo e il più settentrionale degli insediamenti albanesi in Italia.

Viene menzionata all’interno del volume “Attraverso gli appennini e le terre degli abruzzi“ scritto nel 1928 da Estella Canziani.

La comunità nasce nel 1743 e nel 1748 conta 23 famiglie. Alla fondazione i Borboni, nella persona di Carlo III, oltre all’assegnazione (donazione gratuita) di complessivi tomoli 793 di terreno (circa 320 ettari)si impegnarono a fornire alle famiglie tutto il necessario alla messa a coltura delle terre, cominciando dagli animali e dagli attrezzi agricoli, concedendo inoltre l’esenzione per 20 anni da ogni peso e censo dovuto di regola alla Casa Reale da ogni suddito.

Inoltre viene concessa la libertà di culto che nel caso specifico è quello Greco Ortodosso.

A tre secoli dalla fondazione il borgo si presenta urbanisticamente identico alla sua organizzazione originaria. Si mantiene qualche traccia delle abitazioni originarie. La comunità per preservare la propria storia e cultura permetteva unioni solo tra membri della comunità. Questo ha permesso, fino al periodo a cavallo delle due guerre, di mantenere la lingua e le proprietà.

Nel secondo dopoguerra la comunità si è integrata con il territorio circostante aprendo ai matrimoni anche con i non appartenenti alla comunità. Questo ha portato ad una graduale scomparsa dell’utilizzo della lingua albanese e alla perdita di alcune tradizioni.

Nel 1991 nasce un’associazione che ha come scopo da un lato quello di tenere viva la memoria di Villa Badessa e dall’altro quello di portare avanti le tradizioni sopravvissute fino ai giorni nostri.

Di seguito il resoconto di un viaggio all’interno delle tradizioni e della storia dell’unica comunità arbresh abruzzese.

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Questo lavoro fa parte di un progetto “Lo sguardo delle viaggiatrici” organizzato dal Dipartimento di Scienze Umane dell’Università dell’Aquila e coordinato da Serena Guarracino. Per la parte fotografica sono stati scelti sei tra fotografi e fotografe (Claudio Cerasoli, Antonio di Cecco, Sergio Camplone, Isabella Nardis, Alessandra Condello e Giovanni Paoline) su base competitiva per proporre una riflessione originale sulle esperienze di tre figure di spicco di origine britannica che attraversano il primo Novecento abruzzese:Amy Atkinson, Estella Canziani, e Anne MacDonell.

 

Quello sulle tradizioni è un ambito di ricerca che ho avuto modo di affrontare anche nel lavoro sugli Arancieri del Carnevale di Ivrea.